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DONO ALLA PACE 

(Storia di un dipinto murale) 

Vi raccontiamo la storia di un dipinto murale, realizzato, nella Corte Comunale, da Luigi Falco e Pina Acierno nel 1984 e cancellato nella seconda metà degli anni 90. 

 

Lo scopo è quello di consegnare alla memoria della nostra comunità la generosità dei due artisti e la loro bellissima opera, che trasmetteva serenità e gioia ai visitatori del Palazzo Comunale. 

Era l’autunno del 1984. Baiano viveva entusiasticamente l’attesa di una manifestazione artistica. Non si trattava della solita rassegna celebrativa di pittori più o meno famosi, ma una vera e propria festa di partecipazione alla sensibilità artistica. La comunità intera era stata e si sentiva coinvolta. “AmorArte” il titolo della manifestazione, immaginata, promossa ed organizzata da Enzo Barone ed Antonio Vecchione, amici, coetanei, stessa educazione e formazione culturale: studi classici, partecipazione ai circoli di Azione Cattolica, sempre attenti e sensibili alla crescita sociale e civile della propria terra, generosi e disponibili. Le finalità erano ambiziose: sensibilizzare la comunità all’amore per l’Arte, in tutte le sue forme, valorizzare gli aspetti creativi in ogni umana attività, stimolare ed incoraggiare le persone semplici a presentare le loro opere, come espressione del loro sentire, coinvolgere ed emozionare il pubblico. L’invito era esteso a tutti e ciascuno aveva la possibilità di manifestare le proprie capacità artistiche, la genialità, la personale percezione della materia e degli oggetti e l’attitudine a trasformarli. Grazie ad una settimana di intenso lavoro ed all’impegno di un gran numero di volenterosi (tra cui eccelleva, per l’impegno e le qualità umane, Carmine Bellofatto, detto ‘o baffone) fu allestita una mostra, con spazi espositivi disponibili per i tanti appassionati. Le adesioni furono numerose e le opere esposte, testimonianza delle diverse personalità artistiche, le più varie: tele, sculture, acquarelli, ceramiche, vetri e stoffe decorate, ricami, intarsi, foto, collages. Poeti, scrittori, cantanti e musicisti ebbero la possibilità di esprimersi, recitando o esibendosi, nel corso di uno spettacolo (coordinato da Gianni Tedeschi) che, per tre sere, li vide protagonisti. 

La bontà del progetto “AmorArte” fu confermata dalla straripante folla, interessata ed entusiasta, che visitò la mostra e animò le tre serate di spettacolo. 

Il Palazzo comunale fu lo scenario della manifestazione. I lavori di ristrutturazione, appena terminati, avevano dato allo spazio interno del complesso una chiara impostazione teatrale. Un’ampia pedana in cemento era stata costruita con funzione di palcoscenico, aperto verso il centro del cortile, per la fruizione degli spettacoli. Un alto e largo muro di cemento, che chiudeva gli altri due lati, ne costituiva il fondale. La presenza di questa grigia massa di cemento, pesante e triste, che dominava la scena, convinse gli organizzatori a dipingerla con colori vivi, per attenuarne l’impatto negativo. Ma che scena rappresentare? Occorreva creare un soggetto pittorico in grado di unificare, con un messaggio chiaro, le diverse espressioni culturali all’interno di quella casa comune. Un omaggio alla Pace, poteva essere la risposta giusta: Pace intesa non soltanto come assenza di guerra, ma come condizione dello spirito, armonia totale tra i vari mondi, non solo tra gli uomini, ma anche tra questi e la natura. Un ostacolo si frapponeva per la sua realizzazione: mancavano i fondi per sostenere le spese di un simile intervento. Pina Acierno, fresca diplomata alla scuola d’arte, non solo si offrì, con molta generosità, di prestare gratuitamente la sua opera per il dipinto murale, ma coinvolse nell’impresa Luigi Falco, artista avellano di grande sensibilità ed esperienza, del quale aveva grande stima. Luigi, altrettanto generosamente, rispose con entusiasmo all’appello, mettendo a disposizione della comunità baianese la sua creatività.   

L’atmosfera che si creò fu straordinaria ed emozionante: è lo stesso artista che ce la descrive, con semplici parole. 

 “Iniziai il mio studio, una ricerca tormentosa, alimentata da forti dubbi, dettati dalla brevità del tempo a disposizione e dal rischio di non riuscire ad interpretare la sensibilità popolare. La domanda ricorrente era sempre la stessa: come comunicare attraverso un’immagine un tema d’interesse generale, usando un linguaggio che fosse stato al tempo stesso sintesi di ricerche di stile, coniugato con una cultura artistica popolare che le prescindeva. Iniziai a stilare graficamente alcune proposte e a discuterle con i miei collaboratori. In un periodo in cui i conflitti d’interesse internazionali vedevano teatro di guerra alcune aree del nostro pianeta, si pensò di mutare idealmente questa regia crudele in una visione idilliaca di accordo solidale e globale. Questa impostazione appariva come una grande proiezione che fuoriusciva dalla mente umana, destinata  a diventar nel giro di poco tempo una visione collettiva. La scena, infatti, iniziò a prendere forma. Da una parte il mondo selvaggio: una flora ed una fauna incontaminate contrapposte al mondo domestico rurale. La linea di confine degli opposti, nello spirito e nell’anelito di pace, era sottile e valicabile. 

Il codice figurativo, scelto per lo svolgimento di questa tematica, fu l’illustrazione per l’infanzia, in quanto permetteva di superare aspetti interpretativi, legati ad una visione personalistica dell’autore che venivano assecondati da un’esigenza di oggettività. Senza indugi, con mano ferma, iniziai dapprima a delineare le singole scene. I soggetti, che venivano poco per volta evidenziati, stupivano gli astanti  i quali erano in grado di cogliere con immediata chiarezza la fusione di realtà fitomorfe con quelle zoomorfe ed antropomorfe. L’opera, ormai, prendeva forma: una sorta di grande spettacolo in allestimento, intorno ad un piccolo teatrino, attorniato da un pubblico di bambini entusiasti, con i segni distintivi delle loro origini continentali, che plaudivano al volo di candide colombe. I tempi erano sempre più esigui, la pioggia scrosciante. Lavorammo, tuttavia, senza tregua, riparati da un ampio telone, collocato estemporaneamente sulle nostre teste. 

Le pause di lavoro erano molto limitate. Le mani impiastricciate di colore non potevano reggere né un pezzo di pane né un bicchiere di acqua, il minimo consentito a chi fa ricerche di ascesi o proteste politiche. La parete di cemento sembrava avere assunto le caratteristiche di una porta rimasta per lungo tempo chiusa in attesa di una futura apertura. Come per incanto, essa svelava il suo mistero. L’idea, il sogno si trasformavano in una visione appagante che stemperava le umane inquietudini,  trasformando i giudizi più controversi in apprezzamenti condivisi. La ricchezza di particolari della composizione mi costrinse a coinvolgere alcuni presenti nella fase terminale del lavoro. L’impressione che si era fino allora percepita era quella che gli artisti officiassero un rito sacro in uno spazio circoscritto che escludeva dal “ sancta- sanctorum “ coloro che non erano stati designati a svolgere una mansione di alto valore e significato religioso. Questo pregiudizio fu subito abbattuto per lasciare il posto ad una sensazione di operatività all’interno di un Atelier collettivo  di pittura en plein air. L’obiettivo sembrava essere raggiunto: un’opera interagente non solo dal punto di vista della fruizione artistica, ma coinvolgente tanto da diventare per alcuni un gioco che riproponeva esperienze ludiche pre - adolescenziali, nel tentativo più immediato di cogliere l’intimo rapporto del mondo naturale ed il suo stesso linguaggio. Il lavoro giunse al termine. La prevista rassegna ebbe luogo con esiti inaspettati. 

Alcune testimonianze, ancora sopravvissute, attestano nostalgicamente l’entusiasmo che contagiò tutti, sino a quando, una mano sinistra, per una inspiegabile volontà, decise di spegnere definitivamente le luci su quello spettacolo di colori. Quel mondo di personaggi, che aveva stabilito da subito un’empatia con tanti occasionali e fortunati visitatori, si dissolveva. Uomini ed animali, in un momento così drammatico per loro, vivevano sino all’ultimo coerentemente il tema che essi avevano celebrato, facendo rispettoso ritorno nel luogo ancestrale della mente da cui essi erano fuoriusciti. L’esodo fu repentino ed il vento dell’umana ingratitudine accelerò questo sofferto ed ingiustificato passaggio.”

 Gianni Tedeschi premia gli artisti autori dell'affresco Luigi Falco e Pina Acierno.