La lunga traversata
Seconda guerra mondiale. Egitto. I soldati italiani vengono fatti prigionieri e vengono imbarcati a Porto Said, destinazione Inghilterra. Attraversano il Canale di Suez, il Mar Rosso, l’Oceano Indiano, sfiorando l’isola di Madagascar, passando per il Capo di Buona Speranza, l’isola di Trinidad, le Antille, il Messico, la Florida e le coste orientali degli Stati Uniti d’America e del Canada. Tre mesi di paure per la presenza dei temibili sommergibili tedeschi.
Durante la lunga traversata molti soldati si ammalano. La maggior parte muore e viene buttata in mare.
Con mio padre e mio zio Michele (fratello della mia mamma) c’è anche Ferdinando Simonetti di Baiano. Più di tutti sfinito dagli stenti e dalla fame, è attaccato da una forte dissenteria. Le continue scariche diarroiche sanguinolenti lo fiaccano! Non sta più in piedi! Mio padre e mio zio lo sostengono come possono. Gli passano parte della loro già misera porzione di cibo, con la speranza che almeno un po’ venga assimilata per tenerlo in vita!
Quando passano a rassegna i soldati, Ferdinando è tenuto all’impiedi dai due amici che fanno l’impossibile per non fare notare agli aguzzini il suo precario equilibrio! Però è sempre più difficile sostenerlo e nascondere il suo stato fisico oramai superdebilitato, perché cominciano a mancare le forze anche a papà e a zio Michele. Ma possono mai lasciare il loro amico ad un fatale destino?
«Lasciate che si compia il corso della vita!», dice consapevole della sua situazione estrema. «Portate almeno voi la pelle a casa!... Se si accorgono di quello che state facendo per me, saranno guai anche per voi!»
«Tutte e tre o nessuno tornerà a Baiano!» è la risposta, con la fierezza di chi è temprato dai forti valori trasmessi dai genitori. E con la forza di chi ha ancora davanti agli occhi la morte di amici e nemici sul campo di battaglia.
Gli prodigano tutte le cure possibili che si possono praticare nel buio della stiva e con i pochi mezzi che hanno a disposizione, senza farsene accorgere dai soldati nemici.
Finalmente sul ponte della nave per l’adunata riesce a mantenersi in piedi con le sue forze! È salvo! Quando arrivano in Inghilterra nel campo di prigionia fanno a gara a rovistare nei bidoni dell’immondizia della cucina degli ufficiali per alimentarsi e recuperare le energie perdute sulla nave! Dopo vari trasferimenti tra i campi di prigionia, quando arrivarono nel 37° Sudley Castle Camp a Winchcombe nella Contea di Gloucestershire (uno dei tanti Working Camp), mio padre fu assegnato come cuoco in cucina. Fu la loro fortuna. Pur rischiando la cella di isolamento e grosse punizioni, se fosse stato scoperto, sottraeva sistematicamente del cibo dalla mensa degli ufficiali e, nascosto sotto gli abiti, lo portava agli amici nella baracca, riuscendo così a sopravvivere!
Dopo altri 5 anni tornano tutti e tre a casa per la gioia delle rispettive famiglie!
Devo confessare che Ferdinando, finché è stato in vita, mi ha sempre messo in grosso imbarazzo. Tutte le volte che ci incontravamo era sempre lui, più grande di me, a salutarmi per primo. Si sentiva in obbligo e lo esternava in questo modo. Per lui io ero il figlio di Antonio Montella, il “fratello” che gli aveva salvato la vita durante la guerra! È incredibile, ma io non sono riuscito MAI a salutarlo per primo!