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(Nola, 20 settembre 1890 * Napoli, 1 marzo 1960)

 

(Le sue spoglie riposano nella chiesa madre di Santa Croce a Baiano, dal 20 settembre 1990, in un loculo alla destra dell’altare maggiore, unico cittadino ad avere avuto tale onore come riconoscimento della sua rilevante figura.)

Nacque a Nola (Na) il 20 settembre 1890 da Enrico e Maria Grassi, terzo di quattro figli. Al fonte battesimale gli fu dato il nome Carmine.

Da ragazzo frequentò le scuole ginnasiali di Mugnano del Cardinale a San Pietro a Cesarano.

Voleva diventare sacerdote secolare, ma, in seguito ad un incontro con un padre domenicano, abbracciò  con slancio giovanile l’Ordine dei Frati Predicatori l’8 dicembre 1906. Da allora diventò fra Giuseppe.

Sempre più affascinato dalla bellezza dell’ideale domenicano,  con Professione Solenne giurò di viverlo il 15 agosto 1913.

Il 14 aprile 1914, terminato il tirocinio, fu consacrato sacerdote e diventò così Padre Giuseppe. Arrivava finalmente il momento tanto sospirato di realizzare il suo sogno di predicare! Ma... l’uomo propone e Dio dispone!

La Provincia religiosa domenicana di Napoli non aveva allora una Scuola Apostolica, mentre diminuivano sempre più i giovani che chiedevano l’abito religioso ed il noviziato. Il Vicario del tempo, allora, seguendo l'esempio di altre Province dell’Ordine, stabilì di istituirne una nel Convento di Barra e, dopo averne vagliato le attitudini, impose a Padre De Falco la direzione di tale scuola, nonostante la sua giovanissima età, ritenendolo il più adatto all’importante e non facile ufficio di tanta delicata responsabilità.

Si mise al lavoro come se per tutta la vita non avesse mai desiderato altro e  affrontò con grande impegno le difficoltà che ogni cosa ai suoi inizi comporta. Restò alla direzione degli aspiranti fino a quando l’Italia nel l9l5 entrò in guerra. Fu richiamato alle armi come cappellano di una unità al fronte e dovette abbandonare il prestigioso incarico.

Con generosità senza pari  donò le primizie del sacerdozio ai piccoli aspiranti domenicani, dei quali fu maestro di vita, ed agli artiglieri, sul Carso, nell’infuriare delle battaglie durante la prima guerra mondiale. Il suo valore giovò a molti e fu riconosciuto da tutti.

Il suo sacerdozio subì la prova del fuoco, quando andò Cappellano Militare, sul fronte durante la guerra del 1915-18. Si trovò quasi d’improvviso in un ambiente in cui il sacerdote sembrava quasi essere di fastidio alle azioni belliche. Ma il suo carattere gioviale, la condotta esemplare e lo zelo disinteressato e ardente  in breve tempo gli fecero conquistare l’amicizia e la fiducia degli ufficiali e dei soldati. Con molti di essi, a guerra finita, si mantenne in affettuosa corrispondenza e di non pochi benedisse le nozze.

Rientrato in convento, si dedicò alla predicazione, per la quale aveva doti spiccatissime, esercitando con infinito zelo questo ministero e lasciando in tutti il desiderio di riudirlo e di incontrarlo di nuovo, grazie alla sua perenne giovialità, al sorriso spontaneo e sincero, alle gustosissime barzellette che gli fiorivano sulla bocca e a quegli aneddoti che sapeva colorire e rendere interessanti, facendo di lui la più gradita e desiderata delle compagnie. E girò quasi tutta l’Italia, salendo anche su pulpiti di prima importanza.

I conventi di San Domenico Maggiore in Napoli, di Madonna dell’Arco, di Barra e di Bari lo ebbero Padre e Superiore affettuoso in momenti particolarmente delicati.

«Dedito alla predicazione del “Verbum Domini”, ricercatore e cesellatore di fatti concreti, sapidi, invitanti alla fede o illustranti morale e costumi cristiani», come sottolineò Padre Benedetto D’amore O.P. (N.d.A.: Ordine Predicatori), la sua oratoria semplice e fresca, la chiarezza e la profondità con cui esponeva la sapienza divina con l’equilibrio della sua mente, lasciando sempre nei cuori il desiderio irresistibile di ascoltarlo ancora, gli fecero meritare il titolo di “Predicatore Generale” per decisione del Capitolo Provinciale.

Il 26 dicembre 1926, in occasione della festa di S. Stefano che vide  «immenso il concorso dei paesi limitrofi (…) e vantò una vera fiumana di popolo» (da “Il Primo Martire!”, Gennaio 1927, N. 1, p. 3), fu chiamato a tessere le lodi del Taumaturgo, proprio per le sue note abilità oratorie.

Il 27 giugno 1949 fu eletto Padre Provinciale dei Domenicani della Provincia “Regni” di Napoli, ora S. Tommaso d’Aquino, diretta dai frati predicatori. Il 30 giugno, poi, accettò l’incarico con la “Professione di Fede” emessa nelle mani del Provinciale Padre Venturino Cassetta. (N.d.A.: La Provincia “Regni” nacque nel 1294 sotto la spinta del re Carlo II d’Angiò, il quale, per meglio poter disporre dei frati domenicani, ne ottenne il distacco  da quella “Romana” dal debole papa Celestino V, il cui successore Bonifacio VIII emise una bolla di fondazione della nuova Provincia, sempre per tenersi buono il re angioino. Il padre provinciale è il superiore di una provincia religiosa ed è una parte fondamentale della vita e dell'organizzazione di ogni istituto di vita consacrata.) Ricoprì tale carica fino al 14 aprile 1953.

Mostrando un’attività instancabile, fondò i Terz’Ordini di Caserta, Castellammare, Torre del Greco e fu direttore del Terz’Ordine di Madonna dell’Arco, di Castellammare e di Salerno. Nel maggio 1958 fu nominato direttore del Terz’Ordine di S. Domenico Maggiore a Napoli, incarico che accettò con la modestia e col sorriso che gli erano tanto familiari. (N.d.A.: Il Terzo Ordine è il ramo laico dell’Ordine dei Predicatori). In quella basilica sollecitò e appoggiò tra i suoi confratelli la nascita del Centro di Educazione Popolare, che avrebbe portato nei più umili ambienti la luce della verità, tramite i Corsi Popolari dell’Opera Domenicana Assistenza e con la sua parola ed il gran cuore lo protesse e lo sostenne, consolidando le basi per un solido futuro.

Nell’ultima decade dell'agosto 1958 con freschezza ed ardore giovanile preparò e prese parte al Congresso Internazionale dei Domenicani, svoltosi a Roma e fu guida illuminata e paterna nel suo decorso, mantenendone viva la fiamma dell’entusiasmo al ritorno in sede.

Il primo marzo 1960 morì nella sua cella attigua a quella che secoli addietro era stata abitata da san Tommaso d’Aquino. Fu portato poi e sepolto nel cimitero di Baiano.

«Con tutta sincerità posso dire che questo singolare Padre ha lasciato in me uno dei più buoni e teneri e piacevoli ricordi; un fulgido esempio di religioso domenicano», scrisse ancora di lui Padre Benedetto D’amore. «Non posso dimenticare e tacere il suo modo di rilevare un atteggiamento, di descrivere un confratello, di narrare un episodio di vita vissuta nelle nostre stesse comunità. Conosceva il lato debole, il lato comico, che ogni mortale a sua insaputa porta inevitabilmente con sé  e lo manifestava con grazia e delicatezza tutta particolare, senza malizia, senza il benché minimo senso di astio o spirito di offesa. Dai più semplici frati ai più autorevoli, tutti forse sono stati descritti nel loro più caratteristico atteggiamento. Da semplice Padre, da Predicatore Generale, da Superiore e Priore, da Provinciale, dalla sua giovinezza sino agli ultimi momenti della sua vita, non ha cambiato modo e atteggiamento», continua Padre Benedetto.

Secondo i giudizi di molti confratelli, la sua profonda semplicità si sviluppava in una non comune umiltà e generosità tale da fargli facilmente accogliere tutti con animo aperto e sorridente, senza mai appesantire con le proprie idee e con le proprie gesta il colloquio con gli altri. Era dotato di una voce chiara e virile e di una locuzione precisa e sicura; aveva il volto di asceta pensoso e sereno, il gesto nobile,  aiutato dall’abito che gli donava un’aria elegante.

Per rendere  la propria Provincia Domenicana tra le migliori dell’Ordine, spiegò tutte le sue energie e portò a termine tantissime iniziative.

Grazie al suo intervento ottenne dal Sommo Pontefice Pio XII l’affidamento ai Padri Domenicani della monumentale Basilica di S. Nicola a Bari; da S. E. l'Arcivescovo Demetrio Moscato la concessione della Chiesa di S. Giorgio a Salerno e da S. E. l’Arcivescovo Aniello Calcata il ritorno dei Domenicani a Cosenza, nella Chiesa di S. Domenico; venne istituito a Madonna dell’Arco il nuovo studio Generale della Provincia Regni;  la parificazione al Liceo «G. Rocco›› di Madonna dell’Arco  di tutti i corsi. Inoltre riuscì a far costruire nel Collegio Apostolico nuovi ampi locali; a far restaurare con grandi e fondamentali lavori il Convento di Madonna dell’Arco e promosse la trionfale «peregrinatio›› della Beata Vergine dell’Arco per tutta la Campania, scortata in processione  dalle associazioni dei battenti della Diocesi.

Padre Giuseppe aveva una particolare benevolenza verso i giovani. Ecco cosa scrive a tal proposito Padre Guido Massa O.P.

«Li amava di vero cuore; godeva della loro compagnia; ne condivideva gli entusiasmi, le gioie ed i dolori; ne elevava gli ardori; ne compativa le sconfitte sapendoli nello stesso tempo esortare alla virtù ed al sacrificio.

Anche nell’età matura, tra i giovani egli si sentiva a suo agio e riusciva ad attirarli a sé come ad uno di essi.

Possedeva tutte le qualità per esercitare sui giovani un’attrattiva non comune: un sorriso abituale sul volto; una spiccata signorilità nei modi; una comprensione paterna; uno sguardo dolce, indice di una coscienza serena, pronta, disposta ad aiutarli; un parlare affettuoso, calmo, convincente; una prudenza nei giudizi; una saggezza nei consigli.

I giovani non restavano indifferenti di fronte a sì belle qualità e accorrevano a lui: lo ricercavano come consigliere, come confessore, come amico. Furono molti i Seminari, i Collegi, i Convitti, gli Istituti che più volte lo richiesero come predicatore di esercizi e ritiri spirituali, come conferenziere nelle adunanze giovanili.

Aveva una caratteristica tutta propria con cui sapeva penetrare nel cuore dei giovani ed attirarsi la loro simpatia: li tratteneva, ed anche a lungo, con un parlare piacevole, ricco di aneddoti e storie vissute, per cui la sua compagnia, oltreché interessante, era desiderata e gradita.

Una lunga esperienza di vita, vissuta in maggior parte in mezzo ai giovani, aveva insegnato a Padre Giuseppe qual era il segreto per attirarli ed affezionarseli.

Egli infatti aveva capito che nei giovani non c’è solo il bisogno di affetto, di comprensione e di aiuto, ma anche il desiderio che i grandi abbiano fiducia in essi; apprezzino le loro qualità; li assecondino nelle loro iniziative; non restino indifferenti di fronte alle loro capacità ed al loro lavoro; valutino nella giusta misura l’apporto che essi possono dare alla società. Consapevole di tutto questo riponeva una grande fiducia nei giovani, sapendoli considerare non come personaggi da nascondere dietro le quinte, bensì come veri attori nella recita della vita. Ne ammirava l’entusiasmo; ne apprezzava le capacità, ne incoraggiava le nobili iniziative; li sapeva far riflettere di fronte a quel senso di responsabilità che essi, come tutti, secondo la propria misura, hanno nella vita.

Con questa reciproca fiducia si stabiliva cosi tra i giovani e Padre Giuseppe una comunione di affetti, di pensieri, di sentimenti, per cui i giovani gli erano cari e lui caro ad essi.»

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Al fine di arricchire ulteriormente la presentazione della figura di Padre Giuseppe, riporto la descrizione che ne fece il professore Enrico De Falco (N.d.A.: figlio del fratello Felice), nel libro “Baiano - Origine, Sviluppo e Vicende di un Casale di Avella”, seconda edizione, pp.189-193.

«Un cappellano pluridecorato.

La guerra nella vita di ogni uomo è il periodo più terribile, in cui inesorabilmente si determina un conflitto interno tra stati d’animo nobili e non nobili, quali istinto, paura, vendetta, amore, carità, eroismo, […].

La figura più contraddittoria della guerra  è il cappellano militare: è l’uomo che in una temperie di violenza, di lotta, di odio, in un quadro crudelmente quotidiano di ammazzamenti, deve vivere l’apostolato che liberamente ha scelto, la sua missione di uomo di fede, e pertanto di pace e di amore. Se il cappellano crede e vive il significato della croce rossa che porta sul petto, egli non solo riesce a superare questo profondo dualismo, questa lacerante antinomia, ma diventa la persona più invocata e più amata sulla scena odiosa e cruenta della guerra: egli è l’uomo della speranza, dell’aspettazione fiduciosa, del sereno conforto per l’avvenire, prossimo, vicino e lontano che sia, che infonde e ispira fiducia nel futuro tenendo lontano ogni senso di disperazione, di abbattimento, di costernazione.

Tale fu Padre Giuseppe. E qui noi […] rievochiamo la figura del cappellano militare di un reggimento di artiglieria da campagna nella guerra 1915-18.

Si tratta di un pluridecorato che ancora negli ultimi anni della sua vita ufficiali e soldati, che nelle trincee lo avevano avuto tra loro, cercavano per il desiderio di rivederlo e parlargli allo scopo di godere un colloquio lieto, sereno, quasi gioioso, sempre improntato a spontaneità e franchezza; uno spiccato senso di cordialità lo rendeva simpatico a tutti.[…]

Un giorno, nella primavera del 1916 sul fronte Giulio, il primo dirigente del servizio sanitario reggimentale lo redarguì duramente per il continuo interessamento ogniqualvolta un soldato ferito in combattimento era ricoverato nell’ospedaletto da campo; non si aspettava una reazione altrettanto dura: «Dottore, io non sto qui per il paternostro e per amministrare l’olio santo, ma per prodigarmi per le sofferenze di tutti››. […]

Di ogni fatto di guerra ricordava i luoghi, le persone e gli episodi ad essi legati, affratellando tutti nell’amore per la patria; tra l’altro i superstiti, ed erano pochi perché il suo reggimento era stato molto provato, tenevano vivi i rapporti con un’assidua relazione epistolare. Un giorno, ormai sofferente e non lontano dalla fine, volle farmi conoscere i suoi ricordi di guerra che aveva sempre custoditi con gelosa riservatezza; venne fuori una fila di medaglie che egli appuntava al petto, e non sempre tutte, durante le manifestazioni dell’Associazione Artiglieri d’Italia che periodicamente si tenevano in Napoli e a cui festosamente partecipava con la sua calda parola.

La prima croce di guerra al valor militare si riferiva a un avvenimento accaduto nell’agosto del 1917 a Selo Ursic, sul Carso. Eccone il testo:

«Croce di guerra al valor militare al Cappellano Militare del 49° Reggimento Artiglieria Campagna Padre De Falco D. Carmine da Baiano. “Nonostante il vivo fuoco d’interdizione dell’artiglieria nemica accorreva presso le batterie in azione, ove si rendeva necessaria la sua opera di Cappellano, dando bella prova di alto sentimento del proprio dovere di sacerdote e di soldato”. Selo Ursic, 18-22 agosto 1917.»

Le dava poco peso, ma, anche senza dirlo, teneva particolarmente alla seconda. Nel settembre del 1917 a Santa Lucia di Tolmino, durante un violento attacco nemico di assaggio alla grande offensiva di Caporetto, mentre il suo reggimento era costretto al ripiegamento, restava nell’ospedaletto da campo in compagnia di un giovane medico per accudire ai feriti e ai malati. Il nemico, sopraggiunto, non senza aver garantito il servizio ospedaliero, rimandò cavallerescamente i due ufficiali nelle linee italiane.

Legato al paese da sentimento e da affetto, prossimo alla fine, chiese di esser sepolto nel silenzioso cimitero di Baiano, ove dorme il suo sonno eterno in compagnia di quanti in vita lo conobbero e lo stimarono.»

 

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Nella ricorrenza del centenario della nascita, i resti mortali di Padre Giuseppe sono stati traslati nella Chiesa madre di Santa Croce in Baiano, ove  celebrò la sua prima messa.

 

(Per  la stesura della biografia di Padre Giuseppe De Falco ho attinto notizie dalla rivista “Alba Domenicana”, pubblicata in occasione del primo centenario della sua nascita, utilizzandone liberamente dei testi e virgolettando quelli riportati integralmente. Ho consultato anche documenti trovati in rete sull’Ordine dei Frati Predicatori Domenicani.)