(Baiano, 6 novembre 1870 * 4 settembre 1948)
(N.d.A.: Figlio di Antonio Litto fu Vito e di Filomena Capone, convolato a nozze il 13 maggio 1897 con Maria Giuseppe Vetrano di Raffaele)
Tra le figure caratteristiche di Baiano, la sua è forse la più simpatica, e certo la più popolare.
Si tripudi o si pianga nel paese, nella gioia o nel dolore, egli è il primo, sovrasta la folla, interprete del sentimento di tutti, tutti lo seguono e fanno come lui.
Si direbbe che è l’anima stessa del nostro popolo, semplice, alquanto primitiva e non troppo disciplinata; ma, in fondo, buonissima.
V’è in lui però una qualità che lo distingue nettamente e l’avvantaggia su gli altri: una volontà impulsiva, che non soffre indugi e trabocca tosto nell’azione, come pronta così travolgente.
Quando egli vuole, non vi sono ostacoli che tengono, tutto diventa facile e piano.
Il popolo lo sa, e per questo lo stima e lo segue cosi volentieri.
Si tratta di inscenare una dimostrazione politica? È Stefano Litto che raccoglie, elettrizza e capeggia la moltitudine. Si vuole festeggiare il Santo Protettore? Tutti chiedono di Stefano Litto. A volte egli è lontano: è andato alla fiera campionaria di Milano, o a Parigi, o a Londra, per affari. Il pubblico ne soffre: che si può fare senza di lui? Ma, eccolo, piombato a Baiano tempestivamente; dispone, organizza, cava agli altri il danaro, e lui ne mette più di tutti, perché la festa di S. Stefano deve essere la più solenne e clamorosa di quante altre si celebrano nei dintorni.
Il 25 dicembre di ogni anno è per lui la grande giornata. Egli è congestionato, delirante, e fa delirare di entusiasmo la folla: se la trae dietro, immensa, incomposta, vociante, carica di ogni sorta di combustibile: ceppi, fascine, sedie, panche rotte, da scaricare sull’ampio stradale della Chiesa. La catasta sale, sale: diventa una montagna. Verso sera, Stefano Litto vi torna per l’ultima volta con il popolo stracarico di legna: è seduto su di una poltrona sciancata, sostenuta da cento braccia; e rauco, ansante, polveroso, ma sorridente e felice. Il concerto cittadino stride indiavolato, gli spari assordano, il fumo acceca, una scena di Babele, da cui erompe un urlo che attutisce tutti gli altri: ‘O fucarone ‘e S. Stefano, ‘o Ruliusooo! (Il focarone di S. Stefano, il Glorioso!)
Ed il nuovissimo trionfatore scende dal trono improvvisato ed appicca il fuoco alla catasta, la cui fiamma salirà tra poco fino alle stelle, da cui guarda e sorride S. Stefano.
Ma non è in queste manifestazioni tutto o la parte migliore di Stefano Litto.
Il nostro popolo ha sperimentato il cuore e la fattività di lui soprattutto nei giorni del bisogno e del dolore.
Negli anni lunghi e terribili della guerra del 1915-1918, se i rimasti dolenti tra le nostre mura ebbero a soffrire assai meno degli altri i disagi e la scarsezza dei viveri, lo dovettero a Stefano Litto, allora assessore dell’annona. Fu l’uomo della Provvidenza a Baiano: seppe bussare, penetrare, frugare dovunque, ed anche ricorrere alla violenza, perché almeno il pane non mancasse ai cittadini.
E v’è, forse, oggi, bisogno o desiderio di popolo a cui egli non si interessi e che non lo trovi pronto ad agire e prodigarsi per tutti?
Tutto ciò non per calcolo, o ambizione, o vanità; ma per impulso di cuore.
Alle prime, terribili notizie, dopo la notte fatale del 23 luglio 1930, egli, primo dei nostri, è accorso, con la veloce sua Lancia, alle regioni irpine squassate dal terremoto. Ne è tornato piangente, e, mentre scrivo, egli riparte su di un autocarro, dove ha raccolto quanto pane e frutta gli ha offerto la carità cittadina, per dispensarlo a coloro che hanno tutto perduto.
Ho detto che fu assessore, fu poi prosindaco; dopo la riforma delle amministrazioni comunali, fu nominato vice-podestà, ed il R. Governo ne ha fatto un Commendatore. Eppure, non ho mai sentito alcuno che gli dicesse: “Signor Sindaco, Signor Commendatore”. Gli si parla col tu, perché egli è per tutti non altro che Stefano Litto, cioè qualche cosa di più delle sue cariche e dei suoi titoli.
Tanta familiarità con lui non è solo del nostro popolo: egli ispira fiducia e simpatia a chiunque lo tratti. Ed io so di persone eminenti che usano altrettanto familiarmente con lui che i baianesi, e che sono disposte a compiacerlo in ogni caso. È ben vero, però, che egli ricambia tutti, abbondando in cortesia ed affetti.
Ed è questa, forse, la ragione del suo riuscire nella vita.
Deve tutto a sé stesso.
Trent’anni fa, era un giovane spiantato; ora ha due automobili, due vasti stabilimenti per conserve alimentari, dà pane a 2 o 300 operai; ha rappresentato con onore a Milano l’industria avellinese, ed e stato premiato con un autografo di Sua Maestà il Re; tratta direttamente con Case importatrici inglesi, americane e tedesche.
Con tutto ciò, è rimasto sempre l’uomo del popolo, semplice e senza pose, lavoratore onesto ed instancabile, generoso, anzi prodigo, con mezza lingua e molti fatti.
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Così scrive di lui il generale Silvino Foglia:
«Alla festa patronale del 3 agosto 1931, grazie ad un suo sostanzioso contributo, fece venire la “Banda musicale di Napoli”, all’epoca la più prestigiosa della Campania, diretta dal famoso direttore d’orchestra Caravaglios e composta da ben 60 orchestrali, tutti diplomati al Conservatorio. La sontuosa illuminazione del Corso Garibaldi, con arcate a quattro filari di lampadine, diede a quell’avvenimento festivo una tonalità solenne ed un diffuso gioioso interesse tra i baianesi e gli altri abitanti del Mandamento.»